Sarah Storey, storia di una campionessa

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article-2199333-14df5f0e000005dc-642_306x453Dame Sarah Storey ha appena vinto la sua dodicesima medaglia d’oro paralimpica. L’ha vinta nell’inseguimento, specialità dove è fortissima. Ha scoperto quasi subito di essere fortissima nel ciclismo, nel 2008 vinse la prova a cronometro con un tempo che le sarebbe valsa un posto nelle prime 8 nella prova per normodotati. In realtà, però, non ha scoperto proprio subito di essere forte nel ciclismo. L’ha scoperto perché la vita le ha insegnato non solo a reagire alle difficoltà, ma a poter fare più cose là dove potresti anche pensare di poterne fare di meno. È uno degli insegnamenti dello sport paralimpico.

Il 26 ottobre 1977, mentre nasceva, i medici già sapevano che il braccio sinistro nel grembo materno era rimasto impigliato nel cordone ombelicale della madre. A causa di ciò, la mano sinistra non ebbe uno sviluppo normale e quindi non è funzionante. Quattordici anni e qualche mese dopo, nell’estate del 1992, Sarah era campionessa olimpica. Impossibile, direte voi. Così giovane e già forte nel ciclismo? Infatti no. Sarah divenne campionessa olimpica di nuoto. Due volte. Due ori, tre argenti e un bronzo ai Giochi paralimpici di Barcellona.

Nuotava bene, nuotava tanto. Troppo. Nel 2005 una serie di infezioni all’orecchio l’hanno costretta img_4053a uscire fuori dall’acqua. Nel periodo in cui seguiva terapie, o comunque tra una infezione e l’altra, andava in bicicletta. E andava forte. Ecco, lì davvero ha scoperto subito che di essere forte. E ha cominciato a vincere anche in bicicletta, anche in tandem con il marito. A Pechino il primo exploit, a Londra la consacrazione nella Paralimpiade di casa (e nessuno quasi ricordava più che era una ex nuotatrice), a Rio è già arrivato il dodicesimo oro. Nel frattempo, col marito lavora al velodromo di Manchester, ha messo su una squadra di ciclismo amatoriale che raccoglie fondi per la ricerca contro il cancro al seno, ha fatto un figlio. Tiene anche conferenze per spiegare alle persone come si affrontano le difficoltà impreviste e come non perdere mai il sorriso. Lei ce l’ha anche prima delle gare, non solo dopo, quando, come le capita spesso, vince.

81928Se pensi alla disabilità, pensi al fatto che si possono fare meno cose rispetto agli altri o non fare cose che gli altri possono fare. Poi pensi alle Paralimpiadi. E vedi cinquantenni che battono ventenni (li abbiamo visti la scorsa notte nel nuoto) o storie tipo quelle di Sarah, campionessa in due sport molto diversi come nuoto e ciclismo. E pensi che grazie allo sport paralimpico magari si possono fare perfino più cose rispetto agli altri o fare cose che gli altri non possono fare.

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