Eliud Kipchoge, Confucio e i Giochi olimpici di Seul 1988

Eliud Kipchoge, il keniano che ha da poco portato il record del mondo della maratona a 2h01’39”, vive in una casetta di mattoni con due stanze e il tetto in lamiera. Il suo villaggio è Kapsisiywa, a 2400 sopra il livello del mare, tra foreste e sentieri in terra battuta dove si allena. Non fa altro che allenarsi, riposarsi, e leggere. Conosce Aristotele, conosce Confucio.

Confucio non ha lasciato nulla di scritto. Ciò che sappiamo del suo pensiero è frutto di una lunga rielaborazione postuma di discepoli e letterati. Tra i suoi innumerevoli aforismi, ce ne sono due che vengono citati spesso tra le frasi più belle non di Osho, ma sulla corsa. Una è

Non importa quanto lentamente si va, finché non ti fermi”.

L’altra è

Quando corro tutti i pensieri volano via. Superare gli altri è avere la forza, superare se stessi è essere forti”.

Eliud Kipkhoge ha superato gli altri, ma forse non ancora se stesso. Il film “Breaking2” realizzato dalla Nike dice molto di lui, al di là della buffonata nella quale era stato coinvolto, cioè il tentativo di correre i 42.195 km in meno di 2 ore sull’autodromo di Monza, in condizioni che in una maratona non troverebbe mai. E chissà poi se Confucio le ha dette veramente quelle cose. Forse conta pure poco, conta di più che da lì sia partita una religione. In Cina, ma non solo.

In questi giorni sta scorrendo il trentennale dei Giochi olimpici di Seul, che furono imperniati di confucianesimo, movimento (e religione) che attecchì in Corea seppur in versione un po’ diversa rispetto alla Cina. Il confucianesimo alla fine del XIV secolo in Corea assunse un’influenza dominante. Nonostante gli enormi cambiamenti  dalla fine della guerra di Corea nel 1953, la Corea ha continuato ad essere considerata la nazione confuciana per eccellenza dell’Asia. Ed è per questo che Willi Phillip Knecht, giornalista tedesco cui il CIO affidò il compito di realizzare il libro ufficiale di Seul 1988 (pubblicato in 5 lingue tra cui l’italiano, edizione limitata, ne esistono 1000 copie e siamo in possesso della numero 581), intitola l’introduzione a quell’insostituibile lavoro “Confucio e il mondo olimpico”.

Il maestro disse – si legge – ‘Preferire il buon sentiero a tutti gli altri è meglio che solo conoscerlo; essere felici percorrendolo è meglio che solo preferirlo. Scegliere il buon sentiero” (dal libro: “Lun-yu – dialoghi del Maestro Kung con i suoi discepoli”). Poi prosegue con una serie di paralleli tra gli scritti di Pierre De Coubertin e quelli attribuiti a Confucio. Il maestro il cui nome in cinese suonava “Kung fu-tse”, che, per riscattare la sua epoca dalla corruzione morale e politica in cui si trovava, sviluppò una filosofia sociale che misura qualsiasi modello di comportamento in base a principi etici fondamentali.

Ora, le Olimpiadi di Seul sono quelle in cui, con l’esplosione del caso di Ben Johnson, esplose il problema del doping e anche di tutte le questioni ad esso collegate (“Lo fanno tutti?”, “Contano solo i soldi?”, “Liberalizziamolo”, “Il mondo dello sport è ipocrita”, ecc. ecc.) che marcano la distanza tra l’ideale sportivo (olimpico) e la realtà dello sport (delle Olimpiadi). Cose che Knecht non nega, ma affronta osservando come i Giochi di Seul siano stati per certi versi sotto il segno del Confucianesimo, da non intendersi come religione, ma come codice di comportamento.

Più le prestazioni portano soldi, più l’etica scompare. Chiaro. Ma ogni volta che questa stortura emerge, “tanto più – scrive Knecht, ma forse Confucio sarebbe d’accordo – si innalza la voce del rinnovamento dello sport olimpico e del recupero dei valori etici fondamentali. La ricerca del buon sentiero di cui parlava il maestro Kung ha abbandonato la retorica d’occasione per trasformarsi in movimento all’interno del movimento. Gli sforzi di non mettere più in mostra lo spirito olimpico come vuoto involucro meritano il giusto rispetto, sebbene essi possano essere accompagnati da molte ricadute nel movimento olimpico reale”.

In questa prospettiva si può vedere non solo la vicenda di Ben Johnson, ma tutte le altre simili che negli anni seguenti hanno suscitato più o meno sempre le stesse riflessioni e gli stessi dibattiti, tra il qualunquismo del “tanto lo fanno tutti” e la superficialità del “lasciamolo fare a tutti, tanto vincerebbe comunque il più forte e se uno vuole morire pazienza”. Riflettono le insufficienze umane (come l’avidità, che sta rovinando anch’essa lo sport), le quali vengono punite in base alle regole sportive. In fondo, a Seul, i Giochi si svolsero forse per la prima volta all’interno di una struttura sociale le cui tradizioni ancora vive sono caratterizzate dalla dottrina di Confucio. “E’ stato il primo incontro – sostiene Knecht – tra due istanze dal contenuto morale simile. Confucio, con il buon sentiero, avrebbe potuto indicare anche lo spirito olimpico; l’ideologia olimpica può essere interpretata quale una rivisitazione della dottrina confuciana”.

In fondo, sia Confucio sia de Coubertin, subiscono lo stesso destino: sono entrambi spesso citati, ma raramente seguiti.

Quello che conta nella vita di un uomo sono dei principi morali onorevoli. Chi non li possiede può parlare della felicità solo per sentito dire” (Confucio, dal libro “Lun-yu”) 

In fondo, gli uomini si dividono in due gruppi: quelli che sperano e quelli che sono senza speranza” (Pierre De Coubertin, dal libro “Le respect mutuel”)

Seul 1988 fu la prima edizione dei Giochi senza boicottaggi dal 1972 (anzi, dal 1964 ad essere rigorosi), ma fu estremamente militarizzata. Fu quindi quella del bello e del brutto dello sport. Del doping di Ben Johnson che però non era solo il suo, della voglia di pulizia che però non sarebbe dovuta essere rivolta solo contro di lui. Però…

Il maestro disse: ascolta molto, ma taci se si tratta di cose ambigue e sii prudente quando parli del resto; solo così rimpiangerai raramente quello che hai fatto” (Confucio, dal libro “Lun-yu”)

…e…

Qui sulla terra non c’è nessuna vita normale che non conosca il rimorso. L’uomo senza rimorsi è un mostro. Lungi dal rifuggire i rimorsi, ogni creatura sana dovrebbe sistemarli e curarli come se fossero le tombe di un cimitero. E di tanto in tanto dovrebbe far visita a questo cimitero, per la salvezza della propria anima”. (Pierre De Coubertin, dal libro “Le respect mutuel”.

Laicamente, il brutto serve a farti apprezzare il bello. Spiritualmente, il male serve per fartelo distinguere dal bene. Lo sport non è una religione rivelata, ma rivela. Ti dice non solo chi sei, ma anche chi dovresti e/o vorresti essere, per scoprire che magari le due cose coincidono pure. Ok, paragonarlo a una religione forse è troppo. Ma lo sport, ricordiamocelo, nasce come una cosa sacra… Ne riparleremo.

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