The Last Dance, ep. 5 – I Portland Trail Blazers del 1992

Durante l’episodio 5 di “The Last Dance”, a un certo punto si accenna ai Chicago Bulls del 1992 come la migliore versione delle sei che hanno vinto l’anello. Non ricordo neanche chi lo dice. Poco dopo, si parla della finale del 1992 contro i Portland Trail Blazers, squadra sicuramente tra le più forti tra quelle che non hanno mai vinto il titolo. Non rientrano nella categoria, ad esempio, i Lakers dell’anno prima, sempre fortissimi ma non all’altezza di quelli delle finali con i Pistons, per tacere ovviamente di quelle con i Celtics. Ci rientrano sicuramente, ad esempio, i Jazz del 1997 e del 1998 e forse, ma forse, i Sonics del 1996. E allora forse per capire qual è stata la migliore versione delle sei dei Bulls è anche necessario vedere chi hanno battuto.

Nella finale del 1992, presentata come una sfida individuale tra Michael Jordan e Clyde Drexler, battono i Portland Trail Blazers.

E pensare che i due avrebbero potuto giocare insieme, perché Portland è proprio la squadra che nel 1984 al draft scelse Sam Bowie e non Jordan. Nel 1983, invece, la chiamata felice di Drexler (che aveva lasciato il college con un anno di anticipo) al numero 14. Il draft 1984 comunque portò in Oregon Jerome Kersey, uno dei pilastri della squadra del 1992. Oculate anche le chiamate di Porter nel 1985 e Robinson nel 1989. La svolta però c’è nel 1989, quando coach Mike Schuler viene sostituito dal suo vice Rick Adelman e quando arriva Buck Williams (e Drazen Petrovic, che però non gioca mai). Con Adelman il gioco diventa più concreto, arrivano le finali del 1990 perse per pochi dettagli dai Pistons. La squadra del 1992, che nel frattempo aveva anche Danny Ainge e più esperienza, era pronta.

Se non ci fosse stato Michael Jordan…

…di Clyde Drexler in quel periodo si sarebbe parlato in maniera molto simile. E pensare che dopo il primo anno i Blazers avevano provato a offrirlo ai Knicks, per uno scambio poi non andato in porto. Guardia dotatissima sia tecnicamente sia fisicamente, una feroce volontà di arrivare che lo portava ad allenarsi di notte nel college a Houston, per la fretta di recuperare il tempo perduto. Nato in Louisiana da una cassiera e un macellaio, aveva scoperto il basket solo a 16 anni. “The Last Dance”, nell’episodio 5, racconta della clamorosa esclusione di Isiah Thomas dal Dream Team di Barcellona. Bè, in un primo momento fu ancora più scandaloso che tra gli esclusi ci fosse proprio lui.

Non ha incontrato sulla sua strada…

un allenatore che lo convincesse a passare il pallone a compagni i quali gli avevano dimostrato che poteva fidarsi. Sicuramente non aveva sempre la capacità di prendere la scelta giusta in campo. Forse non aveva il disperato bisogno di Jordan di cercare a tutti i costi una sfida da vincere o un sopruso da rivendicare. Come con Kukoc, colpevole di piacere a Jerry Krause, con i Pistons, con chi lo batteva a golf, con chi scriveva che Drexler era come lui.

“Portland vuole giocare fisicamente, Chicago vuole controllare il tempo”

La frase è di Dan Peterson prima di gara 3, trasmessa su Telepiù. Portland era effettivamente una squadra molto fisica ed esperta ed è abbastanza speculare ai suoi avversari. Entrambe sono a trazione anteriore e con una panchina lunga. Sia in gara1 sia in gara2, i Blazers partono meglio. Ma gara1 è “The shrug game”, quella del gesto di Jordan che allarga le braccia come a dire: “Cosa posso fare se segno sempre?”. I Bulls vincono 122-89. “I wanna Shrug like Mike” si legge in un cartello a Chicago durante gara 2, che sembra finita quando, sull’86-80, Pippen ruba palla e va a segnare in contropiede, mentre Drexler esce per falli. Invece entra Danny Ainge e cambia la partita. L’ultimo tiro è dei Bulls e… Jordan lo sbaglia. Secondo ferro. Uno di quei tanti tiri sbagliati senza i quali non sarebbe diventato il numero uno. Al supplementare i Blazers sono perfetti e vincono 115-104.

Però è come dice coach Peterson.

Se gara2 era stata bellissima, gara3 è molto più brutta. E lo è anche perché i Bulls controllano il ritmo, anche se la serie si sposta a Portland. “I wanna be like Clyde” dice un cartello, in risposta al “I wanna be like Mike” di cui in “The Last Dance” si è parlato a sufficienza. Chicago controlla ma evidenzia un difetto che forse coach Jackson sul momento sottovaluta. Non chiude la partita. Portland torna a -4 finché un fallo in attacco fischiato a Porter spegne le speranze. Sono Horace Grante e Scottie Pippen a segnare gli ultimi punti: 94-84, 2-1 e il fattore campo torna ai Bulls.

Altre due partite a Portland, però.

In gara4 torna il problema già visto in gara3. I Chicago Bulls controllano la gara, ma non la chiudono. A 9′ dalla fine sono ancora avanti di 7 e la partita sembra chiudersi per un fallo intenzionale di Kersey su Williams che non solo dà a Chicago due tiri liberi e palla in mano, ma crea anche una feroce lite in campo tra Kersey e Ainge. Proprio lì, però, i Blazers tornano in partita. Drexler stoppa Jordan (sì), segna in contropiede e sorpassa. Solo Paxons prova a tenere in piedi i Bulls con il canestro del -3 nell’ultimo minuto, ma i biancorossi si distraggono e Porter va da solo a segnare. 2-2.

Gara5 è un altro mondo.

Palla a due vinta da Portland, due punti di Kersey. Sarà l’unico vantaggio di Portland in una partita dominata da Pippen e Jordan, che torna Jordan. A un certo punto si fa male a una caviglia scivolando, dopo un tiro in sospensione, sul piede di un arbitro… ma resta in campo, segna sempre, e chiude con 46 punti. Lo sfondamento di Drexler su Pippen è anche il sesto fallo di “The Glide” e la partita finisce lì. Non la serie, perché Portland non si arrende. In gara6 a Chicago va due volte a +15, ma lì Jackson capisce cosa manca. Fisicità. Va con Pippen e quattro giocatori del secondo quintetto e, grazie alla maggiore energia, batte i Blazers sul loro terreno. King e Hansen a rimettere in piedi la partita. Poi nel finale entra Jordan e segna il canestro del sorpasso e quello del 97-93. L’ultimo tiro da tre di Kersey finisce fuori e i Chicago Bulls vincono il titolo del 1992.

Erano passati attraverso una durissima finale di Conference con i Knicks, Jordan aveva battuto Drexler, c’era stato bisogno di tutti, anche dei panchinari. La squadra era sicuramente uscita dalla stagione molto più forte di come ci era entrata. E aveva battuto un avversario molto simile a lei, ma con qualcosina in meno. Un passo decisivo per arrivare a “The Last Dance”, ma una squadra non ancora perfetta. Le mancavano alcune cose di cui quella volta non ha avuto bisogno. Ma che si sarebbero aggiunte, come vedremo, più avanti.

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