Tokyo 2020, non solo Bach. Città del Messico 1968, non solo Smith. Chi vuol dire la sua, trova sempre il modo.

Pugni chiusi, inginocchiamenti, dichiarazioni pubbliche. Oltre a preoccuparsi di come limitare i danni dei Giochi di Tokyo, già spostati di un anno, il CIO inizia a preoccuparsi anche di possibili gesti di protesta, o semplici messaggi, che possano venire dagli atleti. I pugni chiusi di Tommie Smith e John Carlos sul podio dei 200 metri a Città del Messico hanno segnato la storia dello sport e della civiltà, ma possibili emulatori sono sempre stati temuti. Era il 1968, quattro anni dopo Tokyo 1964. Se ne parla ancora oggi, a un anno da Tokyo 2020(1).

Bach

Pochi giorni fa il presidente del Cio, Thomas Bach, ha dichiarato: “Condanniamo il razzismo e ci battiamo per la difesa della libertà e dei diritti umani. Lo scopo dei Giochi è celebrare l’unità e l’umanità nel rispetto e mantenimento della pace, senza discriminazioni e condividendo ogni cosa, emozioni comprese. Ma nessun tipo di manifestazione o propaganda politica, religiosa o razziale è consentita nei siti olimpici e in altre arene, come recita la regola 50 della carta olimpica. Non è una contraddizione, per il semplice motivo che la nostra condanna è chiara. Valuteremo assieme alla commissione atleti un modo adeguato per esprimere il sostegno a certi principi”.

La commissione atleti…

…si è espressa così: “È importante, sia a livello personale che a livello globale, mantenere i luoghi, il Villaggio Olimpico e il podio neutrali e liberi da qualsiasi forma di manifestazioni politiche, religiose o etniche. In caso contrario, il lavoro della vita degli atleti intorno a noi potrebbe essere offuscato e il mondo non sarebbe più in grado di guardarci mentre competiamo e viviamo rispettosamente insieme, poiché i conflitti guidano un cuneo tra individui, gruppi e nazioni. Questo non vuol dire che dovresti tacere sulle questioni che ti interessano profondamente e di seguito troverai un elenco di luoghi in cui puoi esprimere le tue opinioni ai Giochi Olimpici”. Non si sa quali siano questi luoghi, ma si sa quali non dovranno essere: “In particolare, l’attenzione per il campo di gioco e le cerimonie correlate deve essere quella di celebrare le prestazioni degli atleti e mostrare lo sport e i suoi valori”.

Però.

Subito dopo, però, Sarah Hrschland, CEO del comitato olimpico e paralimpico degli Stati Uniti, ha fatto sapere che sta creando un gruppo guidato da atleti per, parole sue, “sfidare le regole e i sistemi nella nostra stessa organizzazione che creano ostacoli al progresso, incluso il diritto alla protesta. Sosterremo anche i cambiamenti a livello globale”. Contestualmente, si è scusata con Gwendolyn Berry (lanciatrice del martello) e Race Imboden (scherma), puniti lo scorso anno in Perù, ai Giochi panamericani, salendo sul podio alzarono il pugno e si inginocchiarono.

Gli altri di Città del Messico.

Jim Hines, vincitore dei 100 metri, non accettò di farsi premiare dal presidente del CIO Avery Brundage, schiavista. Sul podio dei 400 metri, Lee Evans, Larry James e Ronald Freeman indossarono un basco nero. Charlie Green, bronzo nei 100 metri e oro nella staffetta 4×100, strappò dalla tuta le lettere U, S e A. Bob Beamon dopo il leggendario 8.90 nel lungo si presentò senza la divisa ufficiale mentre il vincitore del bronzo, Ralph Boston, si tolse le scarpe. Le donne non furono da meno: Madaleine Manning, vincitrice degli 800 metri, salutò con il pugno chiuso, come anche altre due componenti la 4×100. Olga Fikotova, cecoslovacca, disse che si sarebbe rifiutata di gareggiare se fosse stato impedito di farlo a qualsiasi nero.

Anche i bianchi.

E non solo Peter Norman l’australiano che era sul podio insieme a Smith e Carlos (e che non la pagò meno di loro, anzi…), si mostrò solidale, tra i bianchi. I canottieri dell’Otto, tutti bianchi e provenienti da Harvard, si dichiararono favorevoli alla protesta, come il nuotatore Don Schollander. Il lanciatore del disco Al Oerter, secondo nome Adolph, nato nel 1936 (e primo atleta a vincere 4 ori consecutivi nella stessa specialità) disse che al posto di Smith e Carlos avrebbe fatto lo stesso.

Divieti, protocolli, regole. Alla fine, o all’inizio, chi vuole trovare il modo di dire la sua, lo trova. Ai Giochi olimpici si sente di più ed è anche per questo che le Olimpiadi sono la storia dell’umanità.

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