Pensieri da Super Bowl 51. La tentazione del “più grande di sempre”, una cosa da non imparare dagli americani e due cose da imparare

tom-brady-afp_806x605_61486354624 La tentazione è forte, perché le emozioni sono il sale dello sport. Però bisognerebbe sempre resistere alla tentazione di dare la definizione del “più grande di sempre”. Al massimo puoi arrivare a definire “il più grande della sua epoca”, ma neanche sempre. Se proprio sei costretto a scegliere tra Messi e Cristiano Ronaldo, ad esempio, alla fine lo fai in base al tuo gusto personale. Nel tempo, cambiano materiali e attrezzature, cambiano i terreni di gioco, le regole, le pressioni, spesso anche il numero di competizioni, il che rende non oggettivi neanche i numeri.

Vale per gli sport individuali. Non sapremo mai cosa avrebbero fatto Jesse Owens o Mark Spitz se tom-brady-says-he-was-up-until-130-am-studying-the-atlanta-falcons-roster-just-hours-after-advancing-to-the-super-bowl
avessero avuto le condizioni (da tanti punti di vista) di Bolt o Phelps. A maggior ragione negli sport di squadra, dove molto dipende, appunto, anche da com’è la tua squadra. Così, studiando continuamente la storia dello sport (non riesco a farne a meno), nel tempo ho progressivamente cancellato molte definizioni “più grande di sempre” sostituendole al massimo col “più grande di sempre in un aspetto”. Solo in due, finora, hanno resistito: Wayne Gretzky nell’hockey e Michael Jordan nel basket, quest’ultimo per un aspetto che va oltre il basket. Credo che non sia mai esistito un atleta capace di dominare in uno sport di squadra, sia come singolo sia come capacità di costruire attorno a sé una squadra, come ha fatto Michael Jordan per il basket e per i Chicago Bulls.

Però poi ieri c’è stato il Super Bowl tra Atlanta Falcons e New England Patriots. Che hanno vinto. Il new-england-patriots-tom-brady-texts-regularly-with-atlanta-falcons-matt-ryanQB Tom Brady ha così superato Joe Montana per titoli complessivi (5) e per Mvp della partitissima (4) lanciando per 466 yds, record per un Super Bowl, e 2 TD. Ma il punto non è questo. Anzi, i punti. Intanto che ha 39 anni. D’accordo, ha praticamente sempre lanciato da fermo nella sua carrierea, ma l’usura, anche mentale, c’è lo stesso. E poi che ha guidato la squadra (aiutato dagli errori degli avversari e da alcune grandi ricezioni dei suoi compagni, ma nessuno vince da solo) a una rimonta incredibile: da 3-28 a 34-28 e quando si è ritrovato sul 12-28, quindi avendo bisogno di due touchdown e altrettante trasformazioni da due punti, li ha realizzati senza problemi. Poi il sorteggio al supplementare (crudele, ma è così) ha assegnato ai Patriots il primo possesso, che ha deciso la partita. Fortuna? Sì. Meritata? Altrettanto.

I tanti “più grandi di sempre” hanno soprattutto questo: la capacità di alzare il loro livello quando sembrano andare in crisi. Gli Atlanta Falcons hanno giocato complessivamente meglio, ma ogni loro errore è stato punito. E più che quello che fai, spesso nello sport conta “quando” lo fai. Se poi ripensi a quante volte Brady nella sua carriera ha saputo cogliere questa distinzione, e se non riesci a toglierti dagli occhi la sua prestazione a Houston, certo che diventa difficile resistere alla tentazione di definirlo il più grande quarterback di sempre.

Nel frattempo che ci proviamo, ricordiamo anche che non è un mostro di simpatia e che tra le cose che non dovremmo imparare dallo sport americano c’è sicuramente il fatto che non si sgonfiano i palloni e non si spiano gli avversari. Brady non è un santo ed è stato premiato dal commissioner della NFL che lo aveva squalificato per il “Deflate gate”. Però di sicuro almeno due cose le dobbiamo imparare. La prima è che una partita non è mai finita finché non è finita. La seconda è come si costruiscono gli stadi.

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