Chuncheon Marathon

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Chuncheon è il capoluogo della provincia sudcoreana del Gangwon, che un tempo formava un’unica unità amministrativa con la confinante provincia nord-coreana di Kangwon. E’ un centinaio di chilometri a est di Seul, cui è collegata da una linea metropolitana (!). E’ il posto del Dakgalbi, uno dei piatti della cucina coreana più famosi e gustosi, a base di bocconcini di pollo marinato e saltato in padella, cui vengono aggiunti vari ingredienti tra cui cavolo, riso, patate dolci e immancabile salsa piccante. Una ricetta nata negli anni 60 come alternativa ad altri piatti che, in quel periodo del dopoguerra, la gente non poteva permettersi. C’è una via dedicata a questo piatto, piena di ristoranti che lo servono. E’ un posto di montagna, e anche per questo località scelta per i militari, se ne vedono tanti in giro, destinati alla prima linea, ma anche di laghi. Quelli naturali e soprattutto quello artificiale, nato grazie a due dighe che delimitano il bacino formato dal fiume Soyang e dal fiume Han. Il giro di questo lago, guarda un po’, misura 42 chilometri e 195 metri.

La maratona per la Corea è una cosa importante. Sohn Kee-chung, vincitore della maratona olimpica di Berlino 1936 sotto il nome “giapponese” di Kitei Son, è un eroe nazionale. Sul podio non festeggiò, perché era coreano e non giapponese. Il Giappone però, in quel periodo, aveva invaso la Corea. A Seul 1988 fu tedoforo, a Barcellona 1992 era presente quando Hwang Young-cho, coreano, vinse la maratona olimpica. A Chuncheon, nel lungolago, c’è un omaggio al campione olimpico di Barcellona. E non è un caso che la maratona di Chuncheon sia nata nel 1946. Fu organizzata proprio per celebrare il decennale dela vittoria di Sohn Kee-chung. Partirono in 45, alle 3 del pomeriggio, stessa ora della partenza della gara berlinese. Il vincitore, Yoon-Bok Suh, donò il trofeo alla città, come avrebbe fatto proprio Sohn Kee-chung con l’elmo che il CIO aveva riservato per lui a Berlino e che lui ha donato al museo nazionale della Corea di Seul. L’anno dopo vinse a Boston, nella maratona più antica al mondo.

A Chuncheon Hwang Young-cho stabilì il record coreano di 2:08’09”, poco prima di vincere a Barcellona. La gara non ha sempre avuto vita facile ed è ripartita stabilmente nel 1995. I più forti maratoneti coreani sono passati per questa gara, che però non è stata “solo” una base di lancio per future stelle. Ha impiantato lo spirito della maratona nei coreani, non c’è podista del “Paese del calmo mattino” che non vuole correrla almeno una volta. Sono quasi tutti coreani, lo scorso 24 ottobre, alla partenza. Gli “occidentali” si riconoscono tra loro e si guardano con la stessa sorpresa con cui li guardano i coreani. Vedo un gruppo di ungheresi e un tedesco, non ce ne saranno molti di più. Basta vedere l’elenco di chi deve ritirare il pettorale sul posto, dato che ai coreani lo spediscono a casa. Essere “occidentali”, però, non è mica male. I coreani ti sorridono, qualcuno ti chiede una foto, qualcun altro ti parla con orgoglio di quando ha corso a Roma. Sono contenti che anche tu sia venuto fino a Chuncheon per correre con loro.

L’organizzazione è “minimal”, ma efficiente. In un campo di calcio c’è tutto. Area riscaldamento, deposito bagagli, ristoro post-gara, non ci vuole niente per arrivare alla partenza ed è vicino alla stazione. Se vuoi, puoi partire anche da Seul all’alba. Però rischi di perderti la festa di un altro piatto locale, una specie di frittata realizzata però con una pastella che non prevede l’uovo ma che ha tante farciture diverse e che i locali ti offrono sorridendo, oltre al Dakgalbi finale. C’è la 10 km e la mezza maratona, come capita quasi ovunque ormai, ma partono in momenti diversi. Così, alla partenza, c’è solo chi sa che condividerà la fatica dei 42 chilometri e 195 metri. La condivisione c’è fin dall’inizio. Se ci si incontra nella gabbia della partenza, ci si stringe la mano e ci si scambia l’in bocca al lupo, o gli auguri, o un “enjoy”, come se fossi a New York. Invece sei a Chuncheon e chi te lo dice è contento di dirtelo. “Italia, enjoy”. Enjoy anche a te, amico coreano.

Il giro è bellissimo. E faticoso, anche, soprattutto per quanto riguarda i primi 2/3 del percorso. E’ un posto di montagna e, per quanto sia il giro di un lago, i saliscendi devi metterli in conto. Ma, per fortuna, non sei mai solo. Oltre a chi condivide la fatica con te, c’è sempre qualcuno durante il percorso. Gruppi musicali che spaziano da rock coreano a grandi classici internazionali fino a musica coreana melodica che puoi trovare nei “drama” su Netflix, ma anche contadini che organizzano ristori spontanei proprio come se fossi a New York. Il ponte che accompagna la prima diga, estremo est del percorso, è da brividi. I colori dell’autunno che ti circondano ti fanno venire voglia di rallentare per godertelo e forse lo fai, come fanno i ciclisti e i “trekkers” che, pur essendo abituati a non avere maratoneti tra i piedi, li rispettano e li applaudono.

C’è un altro ponte alla mezza maratona, fa su e giù. Ti porta dal lato della partenza ma poi ti riporta indietro. Non ti pesa, perché in totale sono 2 chilometri e mezzo di urla e incitamenti. Bellissimo. Ti danno energie anche per iniziare la seconda metà della maratona a ritmi che non pensavi di poter tenere. Attento, però, perché al km 29 c’è l’altra diga, con ennesima salita e, sì, conseguente discesa che però ti presenta il conto. Lì inizia la gara, lì inizi a vedere Chuncheon sullo sfondo e a percepire però che, quella decina di chilometri che mancano all’arrivo, è molto, molto dura. Il vento è contrario e solo lì percepisci quanto ti ha fatto comodo che fosse a favore nei 20 km precedenti. Sì, ora i saliscendi sono finiti, ma anche il glicogeno sta finendo. I coreani che sembrano finiti, invece, ricompaiono e ti spingono a tirar fuori le energie che pensi di non avere.

Applaudono. Urlano. Incitano. Ai bordi delle strade. Accelerano. Rallentano. S’attaccano ai palloncini dei pacemaker. Lungo le strade. Scattano foto, prendono di peso i primi per portarli all’antidoping, si stendono per farsi massaggiare. All’arrivo. Quando, magia della maratona, sono, ancora una volta, tutti uguali. Orientali e occidentali. Veloci e lenti. Neofiti e maratoneti seriali. La fatica rende tutti uguali. Quelle sostanze che, dopo il km 35, finiscono, qualunque sia il tuo livello, rendono tutti uguali. Ma lo siamo stati anche durante il percorso. I colori dell’autunno, l’entusiasmo di curiosi e contadini, gli schiaffi del vento e le carezze del sole, erano uguali per tutti. Dakgalbi per tutti. Anzi no, quello solo per chi non scappa via e resta a Chuncheon. Terra di laghi, montagne, soldati e maratoneti.

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