Gli Abbagnale a Seul e la garra charrua di Galeazzi

“Rinviene fortissima la Germania dell’est all’esterno, ma è la prua italiana la prima a tagliare il traguardo!” La telecronaca di Gian Piero Galeazzi della finale del “due con” dei Giochi olimpici di Seul 1988 vinta dai fratelli Abbagnale (e dal mitico timoniere Peppiniello Di Capua) trent’anni fa, il 25 settembre 1988, è uno dei pezzi di storia della televisione italiana, che si combina perfettamente a uno dei pezzi di storia dello sport italiano. Sono anni in cui ciclicamente si parla spesso di telecronache, anche prima della “garra charrua” di Inter-Tottenham. E allora è giusto ripensare a quella telecronaca, riuscendo anche a fuggire dalla tentazione di dire che era meglio prima.

C’è l’immagine, non aggiungere altro

No, non era per forza meglio prima. Anzi, mediamente oggi i telecronisti sportivi sono più preparati e  hanno più ritmo. Sono talmente tanti che qualsiasi generalizzazione sarebbe sbagliata, come lo è sempre. Quello che si insegnava “prima” era figlio del passaggio dalla radio alla televisione, che per anni ha condizionato chi faceva il mestiere e chi lo insegnava. Di base c’era il concetto che siccome c’era l’immagine, non c’era bisogno di aggiungere niente. Non devi descrivere una cosa che vedono tutti. Giusto, per l’epoca: c’era già la novità dell’immagine, e poi del colore, che bastava agli spettatori. Esempio più alto: Nando Martellini. Nelle sue telecronache non c’è neanche una parola superflua, non ce n’è neanche una che aggiunge qualcosa a ciò che si vede.

Proprio perché c’è l’immagine, devi aggiungere altro

A un certo punto, però, il concetto è cambiato. E ai telecronisti è stato detto che proprio perché c’è l’immagine, e proprio perché tanto quella la vedono tutti, la telecronaca deve aggiungere qualcosa. Spiegare, dare un punto di vista diverso, emozionare, quello che volete. Anche questo giusto per un’epoca successiva a quella appena descritta. L’immagine per  gli spettatori non era più una novità, era il momento di dare qualcosa in più. Esempi più alti: le coppie Tommasi-Clerici nel tennis, Tranquillo-Buffa nel basket. Mix quasi perfetto, in entrambi i casi, di preparazione, trasmissione di emozioni, sapienza tecnica, gossip e contorno.

Gli eccessi

Come in tutti i casi, poi, ci sono gli eccessi. Paolo Rosi, nella “prima fase”, era convinto che fosse fondamentale dare esattamente l’idea della portata dell’evento, sia in “alto” sia in “basso”. Così se commentava il meeting di atletica di Viareggio, faceva appositamente e volutamente telecronache noiose, stando anche in silenzio vari minuti, perché era un evento noioso. Però poi se Alberto Cova vince i diecimila ai Mondiali, ti tira fuori quel “Cova, Covaaa, Covaaaaa!” che vale quanto il Galeazzi degli Abbagnale per la straordinaria capacità di adeguare il tono di voce alla rimonta del mezzofondista azzurro. Ad ogni “Cova!” urlato da Rosi, Cova sta effettivamente recuperando una posizione, fino a vincere.

Gli eccessi della “seconda fase” li conosciamo. Sono quelli di chi esagera col gossip dimenticandosi dell’evento o di chi, preso dall’ego, ritiene il suo modo di raccontare più importante dell’evento stesso, diventando poi un personaggio. Finché tu che lo commenti ti senti più importante dell’evento stesso, anche perché probabilmente qualcuno ti ha insegnato che non devi più “raccontare” un evento ma devi “venderlo”, per cui ogni cosa viene descritta in maniera eccessiva. Molti telecronisti si cercano un tratto distintivo (che però quando è forzato si capisce), le tv se li contendono così come si contendono gli eventi. Avranno quindi anche ragione, da un punto di vista, ma non da tutti.

La (forza della) verità

Ed è per questo che torniamo a Galeazzi e alla telecronaca degli Abbagnale a Seul 1988. Perché lì c’è tutto: il telecronista ci mette passione e competenza (non se li inventava mica i colpi al minuto, sapeva come contarli), ti trasmette la sua emozione che è sempre crescente così come cresce quella di chi segue la gara più si avvicina il traguardo e più la Germania Est rimonta, tira fuori la sua esultanza e tu esulti con lui senza bisogno di virtuosismi inutili. “La prua italiana è la prima a tagliare il traguardo” non è minimalista come “Cova!”, ma è una frase normalissima. Ma è il culmine di un’impresa sportiva raccontata in modo speciale, perché era una cosa speciale.

Guardate la foto. Anche lì c’è la telecronaca. Alla fine, Galeazzi è stremato come Giuseppe, ma prova a resistere come Carmine ed è felice come Peppiniello. Tre sensazioni che convivono anche in chi si è appassionato a quella gara.

Questa è la cosa speciale di quella telecronaca: è straordinaria esattamente quanto è straordinaria l’impresa sportiva dei fratelli che rivincono le Olimpiadi 4 anni dopo, quindi non aggiunge e non toglie nulla, diventando la cornice ideale di un quadro ideale per qualsiasi appassionato di sport in generale e anche di canottaggio in particolare. Semplice, ma non per questo facile. Vero, soprattutto.

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