The last dance, ep.4 – Michael Jordan

Doug Collins è stato un ottimo allenatore, non solo nei Chicago Bulls. “The last dance” gli rende i giusti meriti nel processo di costruzione della squadra. Dell’ultimo episodio, resta impressa soprattutto la conferenza stampa dopo il canestro di Michael Jordan che elimina Cleveland dai playoff nel 1989. “Coach, qual era lo schema?” “Date la palla a Michael e tutti gli altri fuori dalle scatole”. E giù risate. Comprensibile. L’avrebbe fatto chiunque, era stato fatto prima da lui e sarà fatto dopo da altri. Lui peraltro si era trovato in quella situazione da giocatore e, pur non essendo un gran tiratore di liberi, aveva segnato i liberi che avrebbero dato agli USA il titolo olimpico a Monaco ’72 se poi non fosse stato concesso all’URSS di segnare un canestro a tempo scaduto. Altre storie, vittorie imperfette.

Phil Jackson è stato più di un allenatore, e infatti per lui il basket è “più di un gioco”.

In gara 5 della prima finale, quella del 1991 contro i Lakers, tutta punto a punto, durante il time-out dice: “Michael, Paxson è sempre libero. Passagli la palla”. Jordan gliela passa, lui segna, e sfruttando quei tiri aperti i Bulls vincono il primo titolo. In due anni sono cresciuti tanto come fiducia e autostima, oltre a Cleveland (“E’ la squadra del futuro”, disse Magic Johnson nel 1989, ma quel futuro sarebbe arrivato solo con LeBron James) erano riusciti a battere anche i Pistons, imparando e insegnando che anche i vincenti perdono ma che la differenza sta nel modo in cui tratti le sconfitte. Ma sono passati dal: “Date la palla a MJ e levatevi” al “MJ, passa la palla al compagno libero”.

Il triangolo

Nel frattempo, “The last dance” ci ha mostrato anche Tex Winter alla lavagna che spiega il triangolo. Tex Winter era stato messo all’angolo da Doug Collins, viene invece usato da Phil Jackson proprio per il motivo per cui Jerry Krause lo aveva chiamato. “Non avevo alcuna intenzione di accettare un sistema secondo cui Bill Cartwright poteva avere il pallone in mano a 5 secondi dalla fine del possesso”, dice Jordan. Ma alla fine lo aveva accettato. Ed ecco perché il triangolo è la “forma tattica” della filosofia che ha creato quella squadra. Ognuno ha ceduto un pezzo di se stesso, per avere indietro la vittoria. Jordan ha ceduto tiri ad altri giocatori che avrebbero fatto di più in altre squadre ma che avevano accettato di relegarsi a ruoli di contorno al numero 23, per spiegargli come fare Jackson ha messo davanti a se stesso Tex Winter e per convincerli ha ceduto rispetto a regole di disciplina cui ogni allenatore tiene, come con Pippen e Rodman.

Tutto ciò spesso viene erroneamente tradotto con: “Jordan non sarebbe stato Jordan senza gli altri”

Concetto che ogni tanto ricorre per l’insensato bisogno di dimostrare che ciò che c’è oggi è meglio di ciò che c’era prima e che magari spesso è solo un modo per riflettere se stessi (James che ho visto io è meglio di Jordan che hai visto tu, quindi io sono meglio di te). Ora, fermo restando che qualsiasi discussione nello sport che preveda la frase “il più grande di sempre” finisce col diventare una discussione superficiale, perché per arrivare a una risposta devi fatalmente escludere troppi fattori, Michael Jordan è stato seriamente il più grande. Perché ha passato quei palloni, cedendo quindi una parte di se stesso ad altri che avevano ceduto una parte di loro stessi per far brillare la sua stella. E perché quei palloni che ha passato (Tipo quello a Kerr nel 1997), altri numeri uno, prima e dopo di lui, non li hanno e non li avrebbero passati.

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