The Last Dance, ep. 8 – I Seattle Supersonics del 1996

Prima o poi bisognerà riportare i Sonics a Seattle. Magari ci riuscirò proprio Gary Payton, che ogni tanto torna sul tema. Ce li ha riportati alla mente, naturalmente, “The Last Dance”. Sempre per provare a capire quale sia stata la migliore versione dei Bulls attraverso le squadre da loro battute. E anche perché la frase che dice Michael Jordan su Payton, “Non ho avuto problemi con lui”, non è del tutto vera. Li ha avuti e proprio per questo, per aver vinto lo stesso, è il numero uno.

Contro Seattle inizia il secondo three-peat e naturalmente i Bulls sono diversi da quelli del 1993.

Non ci sono più Paxson, Cartwright, Grant, Armostrong, King, Perdue e Williams, ma ci sono Longley, Kukoc, Kerr, Harper, Buechler, Wennington, Brown e soprattutto Dennis Rodman. Sono giocatori ancora più funzionali e si agisce sul punto debole che, se c’era, era sotto canestro: Rodman prende rimbalzi, Longley e Wennington danno fisicità, Kukoc è utilissimo sia da fuori sia sotto, mentre fuori se dai la palla a Harper e Kerr vai sul sicuro. Sotto canestro ci sarà da soffrire. A Seattle c’è, al top della sua carriera…

Shawn Kemp.

Che non è un centro puro, ma è pur sempre 208 centimetri di muscoli esplosivi. Viene dall’Indiana, èstato scelto col numero 17 nel 1989, appena arriva chiede di vedere la Casa Bianca e solo dopo capisce la differenza c’è c’è tra la città di Washington e lo stato di Washington. In post-basso è perfetto, per come sa segnare e passare, ha un atletismo incredibile, la testa che va e viene, 7 figli da 6 donne diverse, una volta in tv ha schiacciato in testa a Leonardo Di Caprio, qualche anno fa si è allenato un giorno a Montegranaro.

Dal draft del 1990 invece arriva Gary Payton.

E’ “the glove”, il guanto, perché è il primo giocatore che dimostra che si possono dominare le partite anche in difesa. Attenzione, non è solo questo però: è anche uno dei pochi playmaker bravo ad avvicinarsi a canestro, col tempo svilupperò una serie di movimenti spalle a canestro tipici delle guardie di oggi, arriverà anche ad avvicinarsi ai 20 punti di media. Ancora oggi è l’unico playmaker ad aver vinto il premio di miglior difensore Nba. Con Kemp formano un asse che funziona e che nel 1993 elimina anche quello perfetto, cioè Stockton-Malone.

Occhio.

Così come diciamo spesso che il basket non è uno contro uno, non è neanche due contro due. Nel 1993 il punto non è che Payton-Kemp sono migliori di Stockton-Malone, ma che i Sonics sono più avanti nella costruzione della squadra rispetto ai Jazz. Sono una squadra pensata più per vincere il titolo che per vincere tante partite. La differenza c’è ed è il motivo per cui non sempre vince il titolo chi ha il record migliore. Come detto, alla base ci sono due scelte azzeccate, Kemp nel 1989 e Payton nel 1990. Nel 1992 viene mandato via K.C. Jones e al suo posto in panchina arriva George Karl, che già da giocatore aveva una grande mentalità difensiva e inizia a lavorare per darla alla sua squadra. Con Payton è più facile. Non ha paura di niente, Karl è uno sopravvissuto a tre tumori.

Non è necessariamente vero che la miglior difesa vince i campionati, ma aiuta.

S

Non è neanche necessariamente vero che una squadra troppo vecchia non fa strada nei playoff. Almeno, a Seattle non ci pensano e nel 1993 prendono due giocatori fondamentali, ma over 30: Schrempf e Perkins. Scambiandoli con giocatori più giovani. Nel 1996 i Sonics arriveranno in finale essendo la sesta squadra con l’età media più alta della lega. Il tedesco (Schrempf) è un giocatore molto intelligente, capisce che segnerà di meno, ma anche che è in una squadra che arriverà lontano. L’ex compagno di università di Jordan (Perkins) è un pivot che tira da tre col 40%. I Sonics hanno un pivot bravo ad aprire il campo e un’ala forte brava ad avvicinarsi a canestro. Certo, sotto canestro c’è anche Michael Cage, che in carriera non ha mai segnato da tre. Ci sono anche Kendall Gill, come guardia, e Nate McMillan. Avranno percorsi diversi. Uno se ne sarebbe andato, l’altro c’era sempre stato e ci sarebbe sempre stato.

Seattle però è ancora una squadra in grado di vincere tante partite ma non il campionato.

Nel 1994 ha il mglior record della Lega, ma esce clamorosamente e inspiegabilmente al primo turno contro Denver. E’ la più clamorosa di serie playoff dove si esce con il retrogusto amaro che ha chi sa che poteva far meglio. Gli arrivi, nel 1995, di Hawkins (difesa e tiro) e Brickowski (duro come piace a Karl) danno quello che manca. Ora la squadra è pronta. Difende forte, ha imparato a correre, ha equilibrio tecnico e giocatori funzionali. Sotto canestro è arrivato Ervin Johnson (non Magic), Wihgate si integra con Hawkins molto meglio di Gill, che è tornato a Charlotte, ed è un altro che ha l’intelligenza di saper fare un passo indietro rispetto a come era abituato prima. Diventa un lusso. Ha un sistema difensivo perfetto, tra raddoppi, cambi sistematici, sa forzare gli errori degli avversari. E, attenzione, siamo in anni in cui si pensa soprattutto a isolamenti e gioco controllato. Il contropiede è sempre ben organizzato, Payton e Kemp sono al massimo della loro intesa.

E allora, la domanda è scontata.

Seattle aveva già vinto un titolo nel 1979, battendo Washington, da cui aveva perso l’anno prima. Perché, pur essendo stati costruiti secondo tutte le regole che di solito portano alla vittoria, i Sonics non hanno vinto nel 1996? La risposta è altrettanto scontata: perché si sono trovati di fronte dei Chicago Bulls ancora più forti di quelli del 1993, perché pronti ad affrontare una squadra del genere. Come sono cambiati, lo abbiamo descritto prima. Naturalmente ci sono sempre Pippen e Jordan, che è tornato l’anno prima col numero 45 ma poi si è ripreso il 23 ed è tornato lui.

Si comincia il 5 giugno 1996 a Chicago.

La partita è brutta, lo saranno tutte. Jordan è buono ma non ottimo, Seattle resiste, ma cede dopo due tiri decisivi di Kukoc e due palle rubate di Harper. In gara2 invece Sonics partono forte e sono a lungo al comando. Kep segna 29 punti e prende 13 rimbalzi, ma i Bulls vincono 92-88. Rodman prende 11 rimbalzi offensivi. Nel 1993 non c’era, ma non c’era bisogno di lui per battere i Suns. Senza di lui, difficilmente sarebbe stata vinta questa gara2. Gara3, la prima a Seattle, non è una partita: 108-86 per i Bulls, che, sul 3-0, hanno praticamente vinto.

E invece no.

I Sonics non ci stanno e vincono sia gara4 sia gara5. Gary Payton viene spedito costantemente sulle tracce di Jordan e lo limita. Jordan dice di no, ma invece sì. Non è mai stato limitato da alcun giocatore in una serie playoff come lo è stato da Payton in questa finale. Seattle prende fiducia vince 107-86 gara4 e 89-78 gara5, rientra anche Nate McMillan, il capitano, la cui assenza nelle prime partite si era fatta sentire.

Parentesi.

E’ vero che Payton è stato l’unico a limitare Jordan in una serie playoff. “La mia tattica era portarlo lontano dalla sua comforto zone, rendergli ogni tiro difficile, segnargli in faccia per far sì che al possesso successivo volesse rispondermi, a costo di forzare. Sapevo di non poterlo fermare, ma di poterlo limitare”. L’ha fatto. E la cosa impressionante, a rivedere soprattutto gara 4, è come non gli abbia reso facile niente. Non c’è una ricezione, un tiro, un canestro, che Jordan non si sia dovuto sudare. Ha chiuso a 27.3 punti di media, pensate che fenomeno.

Non è vero…h

…però, che “lui era il miglior attaccante al mondo e io il miglior difensore”. Jordan era anche l’unico difensore al mondo migliore di Payton. In tutto ciò, il miglior giocatore di quelle finali è per tutti Shawn Kemp, che inizia a segnare anche dalla media distanza diventando praticamente incontenibile. Perché Kemp non è stato eletto MVP delle finali? Perché le ha perse. In gara6 vincono i Bulls 87-75. E a decidere sono ancora una volta i rimbalzi di Rodman.

E’ stata una finale brutta.

I Sonics hanno il rimpianto di aver iniziato a dare il massimo troppo tardi e di non aver avuto McMillan. Però è anche per questo che i Chicago Bulls del 1996 sono ancora miglior di quelli del 1993 (e del 1992 e del 1991). Perché per la prima volta hanno trovato sulla loro strada una squadra che ha messo in campo soprattutto la propria identità, senza pensare prima a rincorrere loro. E l’hanno battuta sul loro terreno. Partite brutte, punteggi bassi, più rimbalzi e difesa che altro, Jordan limitato. Ma hanno vinto lo stesso perché avevano delle armi in più per farlo.

Quindi, i Chicago Bulls del 1996 sono la migliore versione della serie?

Calma, mancano altre due finali. C’è un’altra coppia, Stockton-Malone, e un’altra squadra costruita per vincere i campionati: gli Utah Jazz.

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